Un Doblò per Totò

07 maggio, 2009

Cuccette, un viaggio senza fine cresce la sfiducia tra gli sfollati

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L’AQUILA Mal di schiena a parte, le cuccette non sono poi tanto scomode. «Almeno qui dentro non piove». Ma la paura, per chi ci dorme da un mese, è quella di doverci restare a vita. Nel binario morto ci sono 18 vetture-cuccetta (per 950 posti) fatte arrivare da tutta Italia e trasformate in dormitorio.
«QUANDO USCIAMO?»
Trentuno giorni dopo il terremoto, tra la gente la fiducia comincia a scarseggiare. «Sì, stiamo bene, non stiamo in mezzo all’umidità come quelli che stanno nelle tende. Non ci piove addosso. Ma la domanda, qua dentro, è una sola: quando finisce questa storia?». Di questo e non di altro si parla tra gli ospiti del campo diverso dagli altri perché senza tende, tra i quali anche Vittorio Izzi che suona la chitarra scampata al terremoto. Mustafà, da tanti anni all’Aquila a dispetto del nome, non si lamenta del trattamento ricevuto. Lui e gli altri amici che prendono l’ombra vicino alla mensa dicono che tutto sommato stanno bene. «Non abbiamo nulla di cui lamentarci. La notte si dorme, le cuccette sono calde e il cibo pure. L’unica cosa, però, è sapere quanto tempo durerà questo viaggio in treno». Ci sono tre locomotive diesel. La mensa dei ferrovieri è diventata la cucina da campo. L’associazione carabinieri chiede i documenti a tutti e controlla giorno e notte chi entra e chi esce.

IL CONTRABBASSO
Dentro la tendina bianca il rumore del treno, quello delle rare corse per Terni da un lato e per Sulmona dall’altro, «ripristinate da subito», come precisano le Ferrovie, disturba la concentrazione di Giovanni D’Eramo, sfollato «sì, ma di un altro campo» che qui alla stazione viene soltanto per suonare il contrabbasso, sotto lo sguardo del suo insegnante Filippo Guglielmi, sfollato pure lui «ma niente cuccetta: io dormo in macchina, così controllo anche la casa di mia madre». Le lezioni di musica, qui, le prendono in quattro. Ma nessuno di questi dorme nei treni. Sono tutti esterni. Sfollati ma esterni. La musica, del resto, è l’unico diversivo, in un campo dove di giorno circola poca gente. Impossibile, del resto, pensare di poter trascorrere un’ora in più, che non sia di sonno, dentro le cuccette. «Anche perché adesso comincia a fare caldo dentro ai vagoni», dice un’anziana. Di giorno, allora, la gente esce e va a passeggio. Il primo tratto a piedi, però, è un pugno nello stomaco. Si devono costeggiare, infatti, le mura storiche della città crollate quasi interamente. I massi sono ancora ai lati della strada e verso le 99 Cannelle la strada è chiusa perché tutto il perimetro delle mura rischia di venire giù.

IL VOLONTARIO Marco Messina, 28 anni, è di Catanzaro. È qui dal giorno dopo la catastrofe. «In Calabria non stavo lavorando, sono un disoccupato e allora mi sono detto: parto e vado a dare una mano. Stando qui ho conosciuto altri volontari di Legambiente e insieme stiamo cercando di fare qualcosa di buono per questa gente. Sono tutte persone tranquille, finora non è successo niente di strano e nessuno ha litigato. Sicuramente un po’ di nervosismo comincia a esserci, ma dopo più di un mese di convivenza forzata è quasi normale. L’importante è tenere tutto sotto controllo». Nella tenda bianca padre Gaspare dei cappuccini di Santa Chiara (che dormono quasi tutti in treno) distribuisce i rosari di legno per la preghiera della sera.


«IO NON CI DORMO» Accade pure che qualcuno si sia prenotato per l’albergo su rotaia ma poi, al momento di coricarsi, abba fatto marcia indietro. È l’una di notte quando Fabrizio chiama l’amico al telefono. «Non ce la faccio. Non ce la faccio proprio. Dammi un passaggio perché in quei loculi io mi sento male. A parte che quando sono venuto a prenotare lì vicino non c’era nessuno. Ho pensato che sarei stato stretto, sì, ma niente di più. Poi, invece, ho visto che stiamo ammassati uno sull’altro. E io con gente che non conosco non ce la faccio a dormire. È più forte di me». L’amico comprende e va a prenderlo. Per arrivare davanti all’ingresso della stazione-tendopoli si deve fare la gimkana tra le auto parcheggiate ovunque, anche sulle rotatorie. «Dove ti porto?». «Portami a casa». «Ma come a casa? Lo sai che non ci puoi stare?». «Non ci posso fare niente. Io nella cuccetta non ci torno». La macchina, allora, prende la strada per Collemaggio. Passa una pattuglia della polizia. I due rischiano di essere fermati, ma se la cavano. Poi l’a uto si ferma di botto. E il nemico della cuccetta scende, con una borsa di panni in mano, e infila la chiave nella toppa. Dormirà in casa. Solo, in un condominio-deserto di venti appartamenti. In una casa fredda, perché da giorni senza metano. E con la paura delle scosse. «Le scosse, sì. Ma vuoi mettere casa tua con la cuccetta?».

di Enrico Nardecchia

(07 maggio 2009)

Articolo tratto http://ilcentro.gelocal.it/

Foto pubblicate da http://ilcentro.gelocal.it/multimedia/home/5843155

 

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